Cosa significa condividere, postare, fare sharing? Significa dividere-con-altri qualcosa di te, della tua personalità e della tua giornata.
Dai dati della ricerca Digital 2021 pubblicato da We Are Social è emerso che sono circa 41.000.0000 le persone che ogni giorno condividono o postano qualcosa (foto, video, tweet, stato). Siamo nell’era multimediale, lo smartphone è quasi un’estensione del corpo, soprattutto per i giovani, ma non solo.
In Italia sono più di 50.000.000 le persone che accedono a Internet quotidianamente.
Il 2020 ha stravolto la vita dell’intero pianeta e ha cambiato usi, abitudini e modelli di vita. Nuove tecnologie e nuovi comportamenti hanno pervaso la nostra quotidianità. Ci siamo scoperti sempre più animali social(i) in cerca di contatto e così via di video-call, aperitivi su Zoom, Skype, WhatsApp, allenamenti di gruppo e meditazione sui social.
In media giornalmente trascorriamo circa 1 ora e 52 minuti collegati sui social media e oltre 6 ore a navigare nel web. Non intendo demonizzare i social, perché sono il mio pane quotidiano. Più che mai oggi voglio esaltarne come già fatto in passato, non solo le caratteristiche ma anche i rischi connessi. Siamo davvero così liberi e sorridenti nella vita reale una volta bloccato lo smartphone?
Siamo davvero così liberi nelle nostre filter bubbles di like, commenti e pagine correlate e suggerite? I social media ci connettono con gli altri utenti ma allo stesso tempo soddisfano bisogni primari. Cosa guardiamo sui social media? Principalmente video per il 93%, ma anche audio con il 61% della musica in streaming e il 25% di podcast. L’81% gioca online. Ma passiamo oltre, cosa ci spinge psicologicamente a condividere idee, opinioni e contenuti riguardo la nostra persona online?
Le piattaforme digitali e in particolare quelle social sono state create proprio con l’intento di far pubblicare e far vedere cosa si pubblica. Dunque, da un lato abbiamo un attore che mette in scena e dall’altro uno spettatore che non solo osserva ma potrebbe anche commentare o avviare un dialogo diretto (messaggi) o indiretto sotto al post (commenti), ovviamente i ruoli possono ribaltarsi in quanto si è in una relazione paritetica. Voglio dire, l’attore può diventare osservatore (a meno che non sia un voyeurista!).
Voglio riprendere e ricordare la piramide dei bisogni primari (1954) secondo lo psicologo Abraham Maslow.
Alla base di tale piramide ci sono i bisogni fondamentali per la sopravvivenza: quelli fisiologici e di sicurezza, una volta soddisfatti questi andiamo poi alla ricerca di quelli più complessi che non si soddisfano mai, i cosiddetti bisogni psicologici come i bisogni di appartenenza (quindi amicizia, affetto familiare, intimità sessuale ecc.), stima e relazionali e sociali, per arrivare fino all’auto realizzazione.
Applicando la piramide alla necessità di condividere contenuti sui social possiamo chiederci come tali bisogni si manifestino sui social media.
I BISOGNI DI MASLOW APPLICATI AI SOCIAL MEDIA
BISOGNO DI APPARTENENZA
Fa parte dei bisogni psicologici e complessi, spinge gli utenti a condividere per trovare una sorta di accettazione sociale da parte di un gruppo (amici su Facebook, community di un gruppo, ecc.) o di un individuo. Siamo animali sociali e vogliamo sentirci considerati e accettati dalle persone con cui condividiamo gli stessi valori, per questo siamo molto più critici talvolta nella scelta delle amicizie o dei followers sui social online piuttosto che nella vita reale.
BISOGNO DI STIMA
Tale bisogno pur sempre psicologico si manifesta con la condivisione di contenuti personali e incentrati sulla nostra persona, un esempio ne è il selfie! Nello specifico potremmo dire che talee bisogno si manifesta ogni qual volta i contenuti condivisi da un utente restituiscono l’immagine esatta che egli/ella/ess* vuole veicolare di sé stesso.
Mi capita spesso di vedere conoscenti condividere orologi, borse o oggetti hi-tech all’ultimo grido e poi condurre una vita dove un caffè al bar appare come un lusso.
Se nelle relazioni face-to-face scegliamo cosa dire consapevolmente e cosa mostrare di noi, sui social si rischia di ostentare un modo di essere che non ci appartiene: più che rappresentare ci siamo, si finisce per recitare una parte di chi vorremmo essere per gli altri.
Talvolta, nonostante gli sforzi di essere autentici si finisce per sembrare artefatti, finti, le immagini non corrispondono alla realtà e allora mi chiedo: perché affermare uno status che non si ha ancora? La risposta è nella parte alta della piramide e quindi nel punto successivo.
BISOGNO DI AUTO REALIZZAZIONE
Quanti condividono SOLO i loro successi sui social? Che sia un voto universitario, un nuovo impiego, una nuova attività. Ecco, arrivati alla punta della piramide dovrebbe essere chiaro quanto la psicologia sia intrinseca agli ambienti mediali e quanto le piattaforme social facciano leva sul bisogno umano di sentirsi parte di un gruppo a cui comunicare il proprio valore.
Infine, i like. Come non pensare al ruolo che assumono nei social media le reactions come like e commenti? Essi sono strumenti per curare e incentivare l’autostima. Senza like e commenti, quindi senza “interazioni” perderemmo il senso di approvazione ma soprattutto l’incentivazione a continuare nel produrre contenuti o condividere contenuti altrui online. Se i like non ci fossero ci sentiamo poco apprezzati.
Conosco umani che se non ricevono entro 10 minuti un like a un selfie lo rimuovono, ma questa è un’altra storia…
E tu cosa ne pensi? Lasciami un commento e fammi sapere!

Giusy. Nasco negli anni ’90, quando il telefono cellulare diventa un vero e proprio strumento di comunicazione di massa. Sono una studiosa della comunicazione in tutte le sue forme. Ho fatto della mia passione per i media digitali il mio pane quotidiano, mi occupo di digital marketing per una Internet Company.
Nel tempo libero faccio cose, vedo gente.