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Marketing dell’ascolto. Clubhouse non è un social per vecchi

clubhouse

Clubhouse, nato nel 2020, è un social network basato unicamente sullo scambio istantaneo di messaggi audio. Solo gli utenti in possesso di un invito possono entrare in apposite rooms tematiche (o crearne di nuove) per dar vita a conversazioni di gruppo o “segrete”.

In quanto amante e studiosa della comunicazione digitale e dei processi mediali in tutte le sue forme ho scaricato l’app a fine marzo 2020. All’inizio ciò che mi ha colpito di primo acchito fu il fatto che per entrare a far parte di questa social app non era necessario il semplice download e iscrizione gratuita.  Le strade sono due: bisogna inserirsi in una lista d’attesa sul blog ufficiale di ClubHouse o ricevere un invito da un membro della community, o da un contatto della propria rubrica che ha già l’account attivo a patto che abbia ancora uno dei 4 “pass” per farti entrare.

In secondo luogo, di conseguenza mi ha fatto riflettere il fatto che una volta entrata tutto girava attorno al tema della scarsità. Non a caso è su questo che hanno fatto leva i creatori Davison e Seth “circoscrivendo” il pubblico che volevano raggiungere con l’app. Inizialmente l’app era disponibile solo per i possessori di IPhone e pertanto il pubblico a cui si rivolgeva l’app era medio-alto spendente (professionisti, studenti, artisti che necessitano di tecnologie avanzate per lavorare e/o studiare). Nessun imbarazzo, su Clubhouse fino a qualche settimana fa o eri dentro o eri fuori.  Di conseguenza al tema della scarsità (pochi ma buoni!) si affianca quello dell’esclusività: puoi accedere solo su invito. Un doppio lucchetto in grado di assicurare l’ingresso in un mondo dove la voce è l’unico strumento interazionale almeno fino a metà luglio quando è stata implementata con l’ultimo aggiornamento la possibilità di chattare. Infine, last but no least il bisogno di appartenenza. Tale bisogno è stato particolarmente sollecitato dal contesto in cui ci siamo trovati a vivere durante il primo lockdown a causa della Covid-19. La pandemia ha aumentato esponenzialmente il nostro bisogno di relazionarci, l’uomo è un animale sociale, si riconosce e matura a contatto con l’altro. Se non può farlo fisicamente incontrando i suoi simili allora si aggrappa a qualsiasi altra possibilità, ne è stato un esempio la pandemia: miliardi di videochiamate e notti passate a chattare e tenerci compagnia con amici e parenti.

Solo il 21 maggio i creatori hanno lanciato l’app, come promesso, anche su store Android.

Durante la mia permanenza e partecipazione a diverse rooms mi sono chiesta: qual è il format di Clubhouse?

Come ogni social non c’è luogo interazionale che tenga senza un formato che permetta di circoscrivere l’interazione con protagonisti specifici: moderatori (riconoscibili dalla stellina verde in alto a destra), speakers (coloro che parlano e sono rintracciabili nella parte alta) e auditors (coloro che stanno in platea e non possono interagire se non alzando la mano e aspettando che una delle due figure precedenti gli conceda la parola). Su Instagram abbiamo il formato stories che si rivolgono alla community dei followers del creator, su Facebook i post e i video visibili a tutti o solo agli amici della persona che pubblica o nel caso delle pagine dei fan che seguono la stessa. Insomma, ognuno di questo formato deve rivolgersi a una community in grado di valorizzarlo. Durante i primi mesi di iscrizione ho partecipato attivamente a room con topic centrali quali: musica, poesia, letteratura e marketing. Insomma, le mie passioni. Ho conosciuto e udito esperienze altrui che non avrei avuto modo di conoscere forse, da imprenditori ultrasessantenni fino ad arrivare alla generazione Z. Insomma, Clubhouse non ha età.

come funziona clubhouse

Tuttavia, mi sono resa conto che mai come oggi i social sono divisi da un netto gap generazionale e culturale che ne influenza le funzionalità e le modalità di utilizzo. Non di rado è successo che venisse data parola (bonariamente) a persone che avevano alzato la mano per stare in silenzio o per insultare senza motivo alcuno, rovinando l’armonia che si era creata.

Lo strumento principe: la voce. Il valore oggi passa dalla voce. Grazie ad essa siamo in grado di comunicare, scambiare pensieri e fare conversazione. Mediante tale strumento possiamo organizzare le sequenze conversazionali, turno dopo turno. Ecco cosa dissero i creatori dell’app in fase di lancio:

«Pensiamo che la voce sia un mezzo molto speciale» hanno affermato i due soci fondatori. «Senza la fotocamera accesa non devi preoccuparti del contatto visivo, di cosa indossi o di dove ti trovi – hanno proseguito – […] l’intonazione, l’inflessione e l’emozione trasmesse attraverso la voce ti consentono di cogliere sfumature e formare in maniera unica delle connessioni umane con gli altri […] la voce spesso permette di costruire più empatia. Questo è ciò che ci ha portato al medium».

La narratività. Non a caso viviamo in un mondo in cui ci vengono raccontate storie fin dalla tenera età. La narratività si delinea come un prodotto interazionale anche su Clubhouse dove c’è necessità per lo speaker di assicurarsi che la storia sia attinente al topic della room e che ci sia un elemento di informazione di notizia rilevante per l’audience, e che questo elemento non sia conosciuto dai suoi interlocutori.
Se nell’interazione face-to-face l’organizzazione della presa del turno è basata sull’alternanza e su base locale (istantanea), su Clubhouse ciò è più difficoltoso per due motivi: l’interazione è mediata e gli speakers sono selezionati. Se c’è qualcuno che ha qualcosa da dire ed è un auditor in platea e alza la mano, non è detto che venga “tirato su”. La narrazione quindi è continua, consequenziale ma non è del tutto paritaria.

L’ordine dell’interazione. È altrettanto notevole invece come in alcune room da me frequentate dedicate ai topic sopraccitati nel mondo arte e spettacolo viga l’ordine e il rispetto nei confronti degli speakers. Mi è capitato di ascoltare e partecipare attivamente in room dove la narrazione (o storytelling!) appare come un’attività conversazionale che permette al narratore-protagonista di ritagliarsi un suo spazio e di ottenere un “diritto narrativo” per il quale gli viene conferito il diritto di portare a termine l’informazione o messaggio (poesia, canzone live, pensiero) senza interferenze da parte di altri fino al completamento, pena il richiamo o il ban nei casi più estremi.

L’oggetto di questo articolo è in continuo aggiornamento come ogni social, potresti pensare di cavalcare l’onda per avviare attività di digital marketing, qualora volessi approfondire ci sono scuole specializzate come Digital Coach che offrono corsi e master in Social Media Marketing

Per curiosità alla fine di una room musicale con un’artista noto ho effettuato un breve sondaggio su 150 partecipanti dove è emerso lo stupore della stragrande maggioranza verso Clubhouse come app che ha spezzato i confini ordinari tra pubblico e artista permettendo di andare oltre i soliti convenevoli. Aggiungerei: in un periodo di estrema clausura e solitudine in cui tutti abbiamo vissuto a causa della pandemia.
Molti hanno riferito di essere piacevolmente sorpresi perché quelle che erano le dinamiche comunicative standardizzate in tempi pre-Covid che vedevano l’artista su un piano fisicamente più alto (il palco) e il pubblico fisicamente più in basso (in platea) non si avvertiva più. Tale aspetto si è ribaltato con Clubhouse dove artista o (personaggio pubblico che sia) e pubblico non sono più un rapporto da uno a molti, ma da uno ad uno.

 

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